La stagione delle piogge e l’umidità: fare i conti con il clima giapponese

Il clima giapponese: cosa aspettarsi

Diciamo la verità: il Giappone è una meta che è entrata nel cuore degli italiani e degli occidentali in generale, diventando di fatto uno dei luoghi preferiti per trascorrere la luna di miele o il viaggio dei sogni. Non a caso, esiste un numero indefinito di guide di viaggio con descrizione dettagliata di come organizzare la propria visita, che tappe seguire, quanti giorni destinare a l’una o l’altra città, consigli di ogni tipo, frasario di giapponese, ecc.

Prima di giungere sul suolo giapponese, ho avuto ben cura di evitare qualsiasi cosa potesse definirsi guida turistica, nonostante i grandi esperti consiglino invece l’opposto. Non si è trattato di certo di una sorta di sprezzante superbia. Più semplicemente, volevo arrivare in Giappone come una tabula rasa, completamente priva di aspettative e preconcetti. Nulla avevo letto prima di sapere che sarei dovuta andare in Giappone – che se devo essere sincerissima, tra tutti i paesi del mondo, il Giappone era tra quelli per cui subivo il fascino minore, salvo poi ricredermi cinque secondi dopo che vi ho messo piede – e nulla ho letto dopo.

Ci hanno pensato gli altri, invece, a cercare di infarcirmi la testa con stereotipi e storielle metropolitane di ogni tipo (‘Oh ma guarda che in Giappone fanno così!’, ‘Certo che qui non è come il Giappone perchè le cose funzionano davvero!’, ‘Sono troppo più avanti, pensa che…’) che, mio malgrado, sono andate a costituire il sostrato del mio approccio a questo Paese. E, ragazzi, ve lo devo dire: il 99% di quelle storie erano, appunto, storie.

Eppure, nessuno mi aveva psicologicamente preparata all’atterraggio in un altro pianeta dal punto di vista metereologico. Ingenuamente, non avevo voluto informarmi in anticipo, pensando che la strategia del ‘io in valigia metto un po’ di tutto’ funzionasse. Neanche a dirlo, sono dovuta andare a comprare mezzo H&M appena arrivata.

Yokohama, Landmark Tower: lo spettacolo delle nuvole basse che inglobano gli edifici più alti

 

In una parola: umidità

In Giappone c’è un clima che io non riesco a paragonare a niente che il mio corpo abbia già incontrato in precedenza, ma almeno ci provo a darvi un’idea. Avete presente quando è inverno e fuori fa un freddo ghizzo e voi, impavidi, volete andare in piscina a farvi due bracciate cercando di buttare giù il panettone di Natale? Avete presente quando arrivate davanti alla porta della piscina, la aprite e un’ondata di aria stantia vi prende le narici, un’aria pesantissima che sembra non contenere ossigeno? E che poi vi si appannano gli occhiali, iniziate a grondare sudore complice il giubbotto di piume d’oca, e questa sorta di aria che assomiglia di più a una nuvola calda e fastidiosa vi avvolge completamente e per qualche secondo sembra sia la fine ma poi il corpo si abitua, gli occhiali si spannano, vi togliete il giubbotto, con la fronte che già gronda, e cominciate a respirare quell’intruglio di aria mista cloro mista sudore?

Ecco, una roba del genere. Per me atterrare in Giappone è stato come entrare in una piscina pubblica a gennaio. Terribile.

Tutto il problema può essere riassunto in una parola: umidità. Il Giappone è umido come il posto più umido che possiate incontrare nella vostra vita. Ma peggio. Per me che vengo dalle campagne novaresi (sapete? zanzare, nebbia, afa estiva?), questo sarebbe dovuto essere un gioco da ragazzi. Col cavolo.

Shinjuku sotto la pioggia (vista da Toho Cinema)

 

La stagione delle piogge, questa sconosciuta

Quando sono arrivata, a fine maggio, la stagione delle piogge ancora doveva cominciare e il caldo umido la faceva da padrone. L’aria pareva rarefatta, queste ondate di aria caldissima e umidissima ti si appiccicavano alla pelle, ti entravano nei polmoni e li infuocavano, rendondo ogni passo un mostroso sforzo, come se la forza di gravità fosse più forte del solito. Io mi sarei comprata una bombola di ossigeno ben volentieri. L’unico refrigerio possibile era l’aria condizionata, che in Giappone ti viene sparata addosso in qualsiasi negozio o luogo pubblico tu vada, facendoti rischiare la polmonite almeno 10 volte al giorno. Insomma, ho sperato con tutte le mie forze che la stagione delle piogge iniziasse prestissimo.

E infatti è iniziata, verso la seconda settimana di giugno. E amerei poter dire che le cose sono migliorate, ma no. Per niente. Io mi immaginavo piogge torrenziali, venti che sradicavano alberi, tifoni che abbattevano case. L’arietta fresca…

Invece, la stagione delle piogge è quel periodo dell’anno dove non vedi il sole MAI (e per mai intendo mai, mai, mai), piove, smette, poi ripiove, poi scroscia, poi smette, poi acquazzone. Ma soprattutto, è una stagione umida, brutalmente umida, e calda, schifosamente calda. Quindi per farla breve, è come entrare nella piscina pubblica a gennaio, solo che appena entri ti prendi un sacco di secchiate d’acqua in faccia. Una favola.

Tempio Senso-ji ad Asakusa in una giornata di pioggia

 La pioggia: usi e costumi

Giustamente, durante la stagione delle piogge tutti i giapponesi viaggiano costantemente con l’ombrello in mano. La cosa più divertente è che la stragrande maggioranza ha l’ombrello uguale: di plastica trasparente con il manico bianco. Super chic e super comodo, a me fa impazzire. All’inizio pensavo che ciò fosse dovuto a una sorta di mania a uniformarsi. Invece, la ragione è ben più semplice: i convenience store (detti combini, che si trovano a ogni angolo e che hanno letteralmente qualsiasi cosa, dalla bottiglia d’aqua alla cravatta se te la sei scordata a casa o le collant se le hai rotte) vendono questi ombrelli di plastica a circa 500 Yen, 4 euro più o meno. Perciò quando inizia la stagione delle piogge, la cosa più semplice è andare in un combini, prendersi un ombrello, sfruttarlo per quel mese e poi buttarlo via. Non la cosa più ecologica, ma di certo la più comoda.

 E’ uno spettacolo, quando si è in un luogo molto popolato di Tokyo, vedere questa distesa di ombrelli trasparenti tutti uguali, che fa tanto dipinto olio su tela. Come facciano a riconoscere il proprio ombrello quando lo lasciano nel portaombrelli fuori dai ristoranti è un mistero. Per quanto riguarda invece i luoghi pubblici (negozi, uffici, università), esiste appena fuori dalla porta un distributore di sacchetti in cui infilare il proprio ombrello bagnato, in modo tale da non sgocciolare ovunque. In alternativa, ci sono dei pannelli in cui letteralmente scrollare il proprio ombrello dalla pioggia prima di entrare.

Pannello dove poter scrollare l’ombrello all’ingresso di un edificio

 

Gli unici che non usano l’ombrello sono gli occidentali. Si possono riconoscere lontano un miglio, grondanti di pioggia, con il viso imbronciato. Probabilmente a causa del tipo diverso di pioggia che noi abbiamo, o per il fatto che le perturbazioni non sono così prevedibili quanto in Giappone (dove sai che pioverà tutti i giorni per un mese e poi sei a posto fino alla prossima stagione delle piogge), abbiamo la tendenza a portare meno con noi e a usare di meno in generale l’ombrello. Per esperienza personale, posso dire di non aver comprato un ombrello nè in Inghilterra nè nel Lussemburgo nè in Belgio, che non sono Paesi esattamente famosi per il bel tempo.

Comunque sia, mi sono resa conto ben presto che in Giappone l’ombrello serve, serve eccome. E dopo qualche tempo immersa nell’umidità e nell’appiccicume, dove l’aria sa di acqua e si suda solo respirando, mi sono anche resa conto del perchè nessuno mi ha parlato del clima prima del mio viaggio in Giappone. Anche perchè io, a dirla tutta, ho sempre odiato andare in piscina a gennaio.

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