Il Giappone…all’improvviso

Il Giappone …all’improvviso

Voglio andare all’estero…estero

Il 19 aprile scorso ho festeggiato un anniversario molto speciale: tre anni da quando ho deciso, a una settimana di distanza dalla discussione della mia laurea specialistica, di prenotare un biglietto d’aereo e andare. La testa piena di sogni, e idee su come realizzarle ben poche. Ben poche erano anche le mie idee su come si vive lontani da casa quando si può contare solo sulle proprie forze: figuriamoci quando lontano da casa implica un paese nuovo, una lingua nuova, un mondo da scoprire.

Le mie prime due settimane all’estero sono state, credo, le peggiori della mia vita. Poi un giorno mi sono svegliata e sembrava all’improvviso tutto diverso: il cielo meno grigio, le persone più sorridenti, la lingua meno ostica. A ogni problema che sorgeva seguiva lo schema ‘soluzione – azione’, che aveva sostituito il più comodo ‘panico – lacrime’. Era successo, nel mio micro cosmo, un piccolo miracolo: avevo resistito a prendere il primo aereo che mi avrebbe riportato in Italia, e me l’ero vista con le mie paure.

Di ciò che è venuto dopo nulla è stato programmato, è stata una naturale e quasi forzata conseguenza di quel primo, incosciente, viaggio. In tre anni, ho vissuto in quattro stati diversi, cambiato un numero considerevole di case, preso innumerevoli aerei. Ma più viaggiavo qui e là, più mi rendevo conto che l’Europa si somigliava tutta, e che i confini del vecchio continente cominciavano a starmi stretti. È nato così, da un moto di silente noia, il desiderio di ‘vedere altro’.

Un giorno, dissi al mio compagno che volevo “andare all’estero”.

“Ci sei già all’estero!”, mi rispose.

“Ma non dico questo estero, dico l’estero estero. Quello dove tutto è diverso, dove la lingua è talmente incomprensibile che non c’è google translate che tenga, dove se fai una cosa assolumente normale gli altri rimangono scioccati perchè è offensiva o chissà cos’altro!”.

“Massì, magari un giorno ci andiamo in questo estero estero”.

Finita lì, non ne avevamo più riparlato. Senonchè, come spesso accade nella vita, si finisce con l’imbattersi senza volerlo nei propri sogni seppelliti sotto chili di “devo fare questo” e “non ho tempo per fare quest’altro”. È stato proprio così che mi sono ritrovata con un biglietto d’aereo per il Giappone e un’altra valigia in cui far star dentro tutta la mia vita.

‘Che shock!’, ovvero le prime 24 ore dell’estero estero

Dicasi shock culturale quella sensazione di smarrimento che ti pervade quando ti imbatti in una cultura totalmente differente dalla tua. Nel caso dell’incontro con la cultura giapponese, lo shock è assicurato, ed è parecchio impattante.

Se si viaggia con una compagnia aerea giapponese, è molto facile che si cada in un qualche tipo di shock culturale fin dall’arrivo all’aeroporto di partenza. E infatti, non è certo difficile rimanere stupiti davanti a code perfettamente ordinate e silenziose. Ma ció che più di tutto colpisce è che i giapponesi si inchinano. Si inchinano tantissimo, e per tutto. Si inchinano quando gli corri incontro per lasciar giù la valigia, che-già-sei-in-ritardo-e-poi-ai-controlli-c’è-sempre-fila-a-quest’ora. Si inchinano quando ti chiedono il passaporto, quando ti caricano la valigia, quando ti salutano. E poi ancora, quando ti imbarcano, quando sali sull’aereo, quando ti vengono a chiedere cosa vuoi mangiare. E poi sorridono, sorridono  un sacco, che ti viene il buon umore solo a guardarli.

La parte migliore è che tutto questo è contagioso. Dopo cinque minuti a contatto con dei giapponesi, ti rendi conto che hai un sorriso stampato in faccia stile Jocker e accompagni a un qualsiasi gesto un numero indefinito di inchini (e tanti cari saluti alla ginnastica correttiva per la schiena…).

Ma non lo chiamerebbero shock culturale se fossero solo rose e fiori. Mi sono resa conto che dovevo rivedere i miei comportamenti e abitudini quando, atterrata all’aeroporto di Narita, in coda per il controllo passaporto, ho preso un fazzoletto e mi sono soffiata il naso. Una decina di persone si sono voltate a fissarmi impietrite. É stato, io credo, uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita e non tanto per la reazione delle persone attorno a me, ma proprio per il fatto che mai e poi mai avevo considerato che soffiarsi il naso potesse essere socialmente inammissibile.

Un’altra nota dolente è la lingua. Mi ero fatta, mea culpa, un’idea del tutto sbagliata del Giappone, che, in quanto baluardo della tecnologia più avanzata, pensavo erroneamente essere fortemente anglofono. Bastano pochi secondi per capire che cosí non è. In Giappone – giustamente – si parla giapponese, punto. Nemmeno i più giovani fanno eccezione: sono pochi quello che lo parlano e soprattutto, pochi quello che lo parlano bene.

‘Poco male’ – mi son detta – ‘userò il linguaggio universale delle mani’. Beh, dopo 5 minuti in Giappone ti rendi conto che il linguaggio universale delle mani ha ben poco di universale. Anche nei segni che a noi possono apparire semplicemente ovvi, ci possono essere (divertenti) fraintendimenti.

Incrocio di Shibuya (Tokyo), l’attraversamento pedonale più trafficato al mondo

 

Nonostante tutto, la società giapponese ha un fare talmente ordinato, che ci si riesce a raccapezzare, bene o male, abbastanza in fretta. Imitare ciò che fanno gli altri è di certo un aiuto. Inoltre, tutto appare, in un certo senso, guidato. Giusto per fare un esempio, ciò che temevo in assoluto di più era il caos sui mezzi pubblici. Mi immaginavo orde di persone che ti venivano addosso, ti schiacciavano, ti strapazzavano. Grazie al cielo, Tokyo, sebbene sia una tra le città più popolose al mondo, riesce a essere caoticamente ordinata.

In metropolitana, dei segni per terra guidano la direzione della folla, segnalando se stare sul lato destro o sinistro per scendere o salire le scale.  In questo modo, la folla cammina tutta nella stessa direzione, e gli scontri, le spallate e i ‘guarda dove metti i piedi’ sono praticamente ridotti a zero. Cinque anni di pendolarismo a Milano mi avevano convinta che la maleducazione e la prevaricazione fossero le uniche vie per la sopravvivenza cittadina: e invece, tu guarda, bastano due segni per terra (e un popolo abituato a seguire le regole) per cambiare radicalmente le cose.

Metropolitana di Tokyo

 

Nelle mie prime 24 ore in Giappone ho detto più ‘che shock!’ che in tutta la mia vita. Da quando mi sono resa conto che l’alfabeto giapponese è più complicato di una dichiarazione dei redditi, a quando mi sono ritrovata davanti la mappa della metro di Tokyo, talmente intricata che non mi stupirei di trovare lí in mezzo anche la linea che ti porta diretto in paradiso, a quando ho realizzato che in vagoni della metro completamente pieni si puó avere silenzio. Ma certo, questo è nulla in confronto a ció che è venuto dopo…

Appuntamento alla prossima puntata di questa nuova rubrica LetMeWander, che non vuole essere nè un racconto dettagliato di viaggio nè tantomeno una guida turistica, ma più semplicemente la condivisione di tutte quelle volte che ho sospirato dicendo ‘Che shock!’.

Consigli per il vostro viaggio in Giappone:

  • Il momento migliore per acquistare i biglietto d’aereo, dicono gli esperti, è circa due mesi prima la partenza. Se non siete esattamente sicuri della data in cui volete partire, di solito i siti delle compagnie aeree mettono a disposizione la possibilità di ‘fermare’ il prezzo del biglietto per 24/48 o più ore previo pagamento di una cifra ragionevole. In alternativa, potete continuare a monitorare l’andamento dei prezzi e se notate che non fluttuano molto, potete aspettare di avere idee più chiare prima di procedere all’aquisto. Ma attenzione: i prezzi possono variare, all’improvviso e senza preavviso! Pertanto, se proprio non riuscite a essere certi sulla data perfetta in cui partire, talvolta è consigliabile pagare un po’ di più per avere una tariffa flessibile che permetta eventuali modifiche al volo.
  • Prediligete, se potete, voli diretti. È più semplice, più comodo, più sicuro. Non dovrete essere sotto stress per gli eventuali ritardi che vi farebbero perdere la coincidenza, valigie smarrite o disguidi con il peso/misura dei bagagli ammessi (nel caso in cui viaggiate con due compagnie aeree diverse).
  • Il volo è abbastanza lungo (circa 12 ore), perciò affidatevi a compagnie aeree di buona qualità (a costo di pagare un po’ di più). Ci sono compagnie aeree low cost che offrono un servizio piuttosto scarso, con ritardi frequenti, cibo di pessima qualità, poco (o assente) intrattenimento. Assicuratevi che il vostro biglietto comprenda almeno un pasto completo, uno snack, drink vari, una coperta ed eventualmente un cuscino. Se così non è, ricordatevi di portare tutte queste cose con voi. Controllate anche che lo spazio per le gambe sia sufficiente! 12 ore chiusi in uno spazio strettissimo possono diventare davvero stressanti.
  • Durante il viaggio, cercate di svagarvi più che potete. Se continuate a guardare l’orologio vi posso assicurare che il viaggio può trasformarsi in un incubo! Le compagnie aeree mettono a disposizione schermi davanti a ogni sedile con cui potrete guardare un numero considerevole di film, giocare, o ascoltare della buona musica (non dimenticate di portare le cuffiette da casa, non tutte le compagnie le forniscono!). Alzatevi, se potete, almeno tre volte nel corso di tutto il viaggio, sgranchitevi un po’, ma soprattutto, se si tratta di un volo notturno come spesso accade, DORMITE! Non dormire implica che sarete senza energie per almeno i due giorni successivi al viaggio e che superare il jet lag sarà ben più difficile. Armatevi di melatonina, rilassatevi e schiacciate più pisolini che potete.
  • Non dimenticate alcune cose fondamentali durante il viaggio: acqua a volontà (le hostess non passano in continuazione, anzi possono non passare per ore durante il ‘silenzio notturno’), qualche snack, coperta e cuscino se non sono già forniti dalla compagnia, cuffiette, filo USB per il vostro cellulare, spazzolino e dentifricio, e per i più freddolosi – come me! – un secondo paio di calze da usare nel caso in cui si voglia stare senza scarpe ma non si voglia morire di ipotermia causa aria condizionata!

Vi do appuntamento alla prossima puntata di questa nuova rubrica LetMeWander, che non vuole essere né un racconto dettagliato di viaggio né tantomeno una guida turistica, ma più semplicemente la condivisione di tutte quelle volte che ho sospirato dicendo ‘Che shock!’.

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